La ricerca dell’eternità
Efisio Marini nasce a Cagliari nel 1835 da una famiglia di commercianti abbienti. Si laurea a Pisa in Medicina e Scienze Naturali, dopodiché rientra a Cagliari dove lavora come assistente al Museo di Storia Naturale della città. Un lavoro per lui poco soddisfacente, ma che gli consente di dedicarsi alla ricerca. La paleontologia è il settore da lui scelto. Nel 1861 pubblica l’opera “Idee di Paleontologia Generale”, un approccio al tema della conservazione della materia attraverso i secoli.
Si sofferma sulla tendenza di avvicinare e paragonare le fasi della fossilizzazione a qualcos’altro che differiva dalla scienza accademica dell’epoca. Marini ritiene che i fossili siano lo stato di perfezione,“la vittoria contro la degradazione e la conquista dell’eternità”.
La sua massima aspirazione è quella di riportare la materia fossilizzata alle sue condizioni primitive. L’assidua sperimentazione lo porterà a migliorare la tecnica della conservazione intesa come mummificazione, perfezionando così il metodo della “pietrificazione” e della “calcificazione”, già realizzata e utilizzata da altri ricercatori, soprattutto dal grande Girolamo Segato, un mito che lo scienziato cagliaritano voleva superare. Il Marini inizia ad effettuare i suoi esperimenti sui cadaveri presso la scuola di anatomia dell’università, e in seguito trasferisce il suo laboratorio nell’obitorio del cimitero monumentale di Bonaria.
Altero, presuntuoso e solitario, nonostante i suoi sorprendenti successi, Marini non gode di buona fama tra i suoi concittadini. I suoi unici veri amici erano, Felice Uda, Antonio Timon e il fotografo Agostino Lay Rodriguez. Su suggerimento di quest’ultimo, lo scienziato combina le conoscenze di anatomia e chimica a quelle per la realizzazione delle lastre fotografiche.
Nel 1862 il Marini è sull’Aspromonte al seguito di Garibaldi. Come è noto, durante gli scontri l’eroe dei due mondi riporta una grave ferita: una buona occasione per lo scienziato, che si appresta a raccoglierne il sangue che, sottoposto a trattamento, e quindi mineralizzato, gliene fa dono, dopo averlo conservato in un medaglione. Nella mente del Marini è sempre vivo il desiderio di accedere alla cattedra dell’università di Cagliari. La chiave d’accesso? Il suo nuovo metodo di pietrificazione. Nel 1867, forse, la svolta. Il 17 febbraio muore lo storico Pietro Martini, del quale si ha solo un ritratto giovanile.
Al Marini viene affidato il compito di conservarne il corpo con il suo nuovo e incredibile metodo. Felice Uda racconta: “Dopo gli elogi dei necrologi e la prece venale dei sacerdoti, quel corpo, già in preda alla dissoluzione, doveva appartenergli. Egli lo prese in custodia, lo trasportò in una celletta del cimitero, e sussurrò al suo orecchio la feconda parola della scienza: “Tu non morrai intieramente!”. Il compito di Lay Rodriguez è quello di immortalare il corpo dello storico prima del trattamento; mentre Marini prepara il cadavere per una prima conservazione, Timon e Uda si occupano di documentare il tutto. Quattro mesi dopo, l’intervento di conservazione vero e proprio ha inizio.
È Oliviero Maccioni a raccontare che il I° giugno 1867, di buon mattino, Marini, Lay Rodriguez, Uda e Timon, si recano nel cimitero di Bonaria per mettere in atto il loro progetto. La bara viene riaperta: “andavano a fotografare un uomo quattro mesi dopo la sua morte!”. A Lay Rodriguez sempre il compito di immortalare l’intervento con lastre fotografiche; Uda documenta lo stato del cadavere: “il corpo si presenta come una pasta morbida e duttile…”. Marini comincia subito ad operare sulla salma, controlla lo stato del lavoro svolto quattro mesi prima, e sotto gli sguardi attoniti degli amici, ricostruisce i lineamenti perduti dello storico. Terminata l’operazione, l’insigne studioso è pronto per essere nuovamente ritratto. Il risultato è sorprendente.
Intanto a Cagliari Marini è ancora vittima di vessazioni: i motti canzonatori e gli attacchi continui rendono insostenibile la sua vita nella città. Di lui si dice e si scrive sui muri:
“UNU TONTU CHE SA PERDA SU CHI SALIDI IS PIPPIUS, CIRCADA DE SPILIDI IS BIUS NENDI CHI IMPERDADA IS MORTUS, MA CUM TOTUS IS CONFORTUS ADI FATTU CUNCURRUMBEDDU”. (UN TONTO COME LE PIETRE QUELLO CHE METTE I BAMBINI SOTTO SALE, TENTA DI PELARE I VIVI DICENDO CHE PIETRIFICA I MORTI, MA CON TUTTI I CONFORTI HA FATTO UN CAPITOMBOLO).
Così, un po’ per ambizione e un po’ per disgusto nei confronti del capoluogo sardo, con l’aiuto dei suoi fedeli compagni, butta in mare tutte le sue opere e lascia per sempre Cagliari alla volta di Napoli. Durante il periodo partenopeo la sua fama cresce in tutta Europa. Nel 1867 viene invitato all’Esposizione Universale di Parigi. In quell’occasione è invitato a dare una dimostrazione delle sue competenze. Lo fa pietrificando il piede di una mummia egizia e restituendogli la consistenza e l’incarnato naturale; grazie a quest’opera ottiene l’appoggio di Napoleone III. Il celebre chirurgo Nélaton ha il compito di controllare la validità del suo operato. A Napolene III Marini donerà un tavolino da salotto, il cui piano è composto da sangue, bile, cervello, fegato, linfonodi e polmoni, naturalmente pietrificati.
Mummifica personaggi celebri, come Luigi Settembrini, il marchese Rodoldo d’Afflitto, il Cardinale Guglielmo San Felice, l’avvocato Vincenzo Villari, la piccola Courrier.
Efisio Marini muore a Napoli l’11 settembre del 1900. Alcune delle sue più importanti opere sono conservate nel Museo Anatomico di Napoli. Il Comune di Cagliari gli dedica finalmente una via, e nel 2004 una mostra. Un piccolo omaggio a un suo figlio, che, come tanti, non fu profeta in patria.
Elisa Monica Magario
Emily Volta
Patrizia Secchi
Foto:
wikipedia;
museo-anatomia4908;
One Comment
Impressionante!