“La terra della Calamina”
In Sardegna la lavorazione dei minerali, e dunque il lavoro nelle miniere, risale a tempi remotissimi. Antichi mercanti e conquistatori presero a frequentare le coste dell’isola attirati dalle formidabili ricchezze del sottosuolo sardo.
Nel 1840 venne istituita la nuova legge mineraria che prevedeva la separazione della proprietà del suolo da quella del sottosuolo. Secondo la nuova legge, chiunque poteva richiedere l’autorizzazione ad effettuare ricerche minerarie. Questa disciplina entrò pienamente in vigore in Sardegna solo nel 1848 dopo che, nel 1847, il re Carlo Alberto di Savoia proclamò solennemente la “Fusione Perfetta” tra la Sardegna e gli stati di terraferma appartenenti ai Savoia.
la società mineraria “La Fortuna” decide di svolgere una ricerca nel territorio di Buggerru. L’ingegnere belga Jean Eyquem, che aveva studiato i giacimenti della zona sin dal 1851 e l’ingegnere Bourdiol, nel 1852 scoprirono il più grosso giacimento di calamina (silicati e carbonati di zinco) dell’Italia e forse d’Europa.
Oggi Buggerru (Bugerru o Bujèrru in sardo) è un comune di 1.100 abitanti sito nella regione dell’Iglesiente. Il comune si trova sulla costa occidentale della Sardegna. Sullo sbocco a mare c’è il Canale Malfidano che ha dato il nome alla più importante miniera della zona. la Società “Malfidano” acquistò gli stessi terreni dai Modigliani: il Malfidano, Caitas, Gennarenas, Gruguas e Planu Sartu,e iniziò ad organizzare la propria attività industriale.
Nel XX secolo la popolazione di Buggerru era cinque volte quella attuale e viveva il momento più florido delle sue miniere. In quel periodo il paese veniva chiamato «petit Paris». I dirigenti minerari si erano trasferiti nel borgo con le rispettive famiglie, e lì avevano ricreato un certo ambiente culturale. L’ingegnere Achille Georgiades, un turco naturalizzato greco, arriva in Sardegna da Costantinopoli nel 1903 per dirigere le miniere della “Societé des mines de Malfidano de Paris”.
La sede operativa in Sardegna era proprio a Buggerru. Georgeades era coadiuvato da uno svizzero, tale Steiner. Il francese Georges Perrier gestiva un teatro; inoltre in paese vi erano anche un cinema ed un circolo, il tutto riservato alla ristretta élite dei dirigenti della società francese. Dall’altra parte c’erano, esclusi da tutto questo, 2.500 minatori che lavoravano nelle gallerie, ai quali si aggiungevano altri 4.500 salariati addetti alla cernita e al lavaggio dei minerali, composti in gran parte da donne e bambini.
A Buggerru tutto apparteneva alla società francese: i pozzi, la laveria, le officine, i magazzini, la scuola, le case, la chiesa, il cimitero, e persino la terra, sulla quale nessuno poteva costruire neppure un muretto. Era vietato raccogliere la legna per il focolare; era vietato piantare qualsiasi cosa, neanche un albero.
La «Cantina» era lo spaccio della proprietà aziendale, Il truck system imposto dall’impresa obbligava a comprare lì il pane e gli altri generi alimentari. I prezzi erano più alti degli empori di Cagliari e degli altri paesi della zona. Buona parte dei salari finivano nelle casse della «Cantina». Alla società francese apparteneva, oltre a tali proprietà, la vita stessa degli uomini poiché poteva disporre del loro lavoro, poteva concedere o negare un tetto sotto il quale ripararsi, un luogo nel quale farsi curare nell’eventualità non remota di un infortunio. La silicosi e la tubercolosi erano le malattie più diffuse. Gli operai vivevano in baracche caldissime d’estate e gelide d’inverno, o in enormi cameroni da autentici forzati.
I salari giornalieri erano miserabili: per le donne “cernitrici” e i ragazzi, oscillavano da 0,60 a 1,20 lire; per gli uomini “armatori” da 0,80 a 2 lire: pochissimi arrivavano a 3 lire. Durissime le condizioni di lavoro. Per comprendere il valore reale di questi miserevoli salari basta rapportarli al prezzo di alcuni beni di prima necessità praticati nel 1904 dalla cantina di Buggerru, dove il pane costava da 0,27 a 0,34 lire al kg; la pasta da 0,49-0,55 lire al kg; il vino oscillava da 0,24 a 0,30 lire al litro; l’olio, al litro, 1,25 lire; il formaggio, al kg, 1,50; lo zucchero, 1,50 al kg; il lardo, 1,90 al kg, e il caffè a 2,80 lire kg.
Nelle laverie si lavorava dalle 10 alle 12 ore giornaliere; all’interno delle miniere, si operava dalle 8 alle 10 ore. Non esisteva il giorno di riposo settimanale; non esistevano contratti di lavoro. Nel fossato di Malfidano, fumo, polvere e calore infernale. I minatori dipendevano interamente dai “caporali”, che avevano potere di assumere, licenziare, infliggere multe e punire i lavoratori più sindacalizzati, spedendoli nei punti di lavoro più disagiati. Ciascun minatore doveva provvedere da sé all’acquisto degli strumenti di lavoro, incluso l’olio per la lampada.
Il 2 settembre 1904, non contento di tutte le prepotenze da lui fatte, non curante del malumore che il personale nutriva contro di lui, il signor Georgiades intendeva imporre agli operai che lavoravano all’esterno, un nuovo orario che violava antichissime abitudini da sempre seguite nella miniera.
Il Direttore pretendeva di far coincidere l’orario invernale col primo di settembre. Il nuovo orario prevedeva che la pausa tra i due turni di lavoro, quello del mattino e quello del pomeriggio, fosse ridotta di un’ora: non più dalle 11 alle 14, ma dalle 11 alle 13. Gli operai si ribellarono a questa pretesa. Per i grandi calori estivi erano indispensabili almeno tre ore di riposo durante quella parte della giornata in cui il caldo è eccessivo. Inoltre, essi osservarono che col nuovo orario avrebbero lavorato un’ora in più.
Domenica 4 settembre: pozzi, officine, laveria e magazzini erano deserti. Gli operai, in massa, si diressero verso l’abitato circondando il villino del direttore, interrompendo il lavoro nelle officine e in ogni altro impianto. La società francese corse ai ripari e chiese l’intervento del governo. Allo scopo di mediare tra le parti, arrivarono anche i dirigenti della Lega di resistenza operaia, due militanti socialisti: Giuseppe Cavallera e Alcibiade Battelli.
La trattativa con Georgiades andava per le lunghe. Nel pomeriggio arrivarono due compagnie del 42° reggimento di fanteria, il sottoprefetto e un delegato di pubblica sicurezza. Un gruppo di 200 manifestanti si spostò dalla folla per seguire i militari che avrebbero dovuto alloggiare nel laboratorio dei falegnami. All’interno del capannone alcuni operai allestivano la caserma nonostante lo sciopero. Per questo motivo si infiammarono gli animi.
I duecento minatori, sentendo che in quel locale si lavorava mentre fuori c’era lo sciopero incominciarono a vociare. Fu un attimo. Alle sedici iniziò una sassaiola contro i soldati e contro alcuni crumiri assoldati dalla direzione. I militari imbracciarono i moschetti e spararono sulla folla. La tragedia si consumò in pochi minuti: sulla terra battuta della piazza giacevano una decina di persone ferite: Felice Littera di 31 anni di Masullas e Giovanni Montixi di 49 anni di Sardara, erano morti. Un terzo, Giustino Pittau di Serramanna, colpito alla testa morì in ospedale. Un mese dopo anche il ferito Giovanni Pilloni perì. Alcune donne e bambini rimasero feriti negli scontri. Le conseguenze dell’eccidio, determinarono una forte e rigorosa presa di posizione dei lavoratori italiani, organizzati attraverso la Camera di Lavoro, la quale proclamava il primo sciopero generale nazionale. Giolitti, allora capo del governo, fu costretto a rassegnare le dimissioni.
Durante la prima guerra mondiale l’attività mineraria entrò in crisi e tutti i cantieri della zona furono chiusi. Nel 1930, dopo la crisi del 1929, per la seconda volta, tutti i lavori di estrazione si fermarono e molti minatori tornarono nei loro paesi d’origine. Nel 1933 le miniere riaprirono i battenti, ma i giacimenti erano ormai sfruttati, poche ricerche, impianti vecchi e personale sfiduciato. Nel 1937 le difficoltà economiche della “Malfidano” determinarono un esodo verso la nascente Carbonia e, da Buggerru, iniziarono i trasferimenti che proseguiranno negli anni successivi. Nel 1939, la Società “Malfidano” decise di associarsi alla Società Mineraria e Metallurgica di Pertusola.
Durante la seconda guerra mondiale le miniere di Buggerru cessarono le attività estrattive. Da all’ora in poi, ogni tentativo di salvare le miniere fu vano. Dal 1990 si può considerare chiuso il periodo storico minerario di Buggerru. Quella miniera non esiste più. È stata dismessa. Lo zinco e il piombo ci sono sempre, ma non conviene più estrarli perché ci sono prodotti che danno maggiori profitti in altre parti del pianeta.
Elisa Monica Magario
Emily Volta
Patrizia Secchi
Un ringraziamento particolare all’Associazione Museo di Buggerru.
Fonti:
http://www.walterfalgio.it/articolo.php?i=7;
http://web.tiscali.it/parrocchiabuggerru/buggerru_storia.htm;
Roberto Fadda;
http://www.sardegnaminiere.it/eccidio_buggerru.htm;
Giuseppe Farris, il manifesto 03 Settembre 2004
http://www.ilmanifesto.it.
Foto:
http://sulcisiglesiente.blog.tiscali.it/tag/tags-arcipelago-sulcitano/;
http://www.flickr.com/photos/anntatti/6334503247/;
http://www.walterfalgio.it/articolo.php?i=7;
http://www.fotolog.com/federicamineral/37768900/;
http://web.tiscali.it/home_basilico/pagina_territorio.htm;
Federico Patellani;
http://www.facebook.com/pages/Associazione-Museo-di-Buggerru/166043976764576.
2 Comments
posti meravigliosi e molto affascinanti complimenti e grazie per il post
Grazie a te…